LIF6, pseudogene ‘zombie’ che attivato da TP53 induce apoptosi delle cellule in risposta ad un danno del DNA

Silvia VernoticoSilvia Vernotico

Silvia Vernotico

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Negli anni Settanta l’epidemiologo inglese Richard Peto aveva formulato quello che tutt'oggi è noto con il Paradosso di Peto. Ogni volta che una cellula si divide c’è una probabilità, seppur minima, che si accumuli una mutazione che concorre allo sviluppo del cancro. Il numero di divisioni cellulari che avviene in un organismo è proporzionale sia alla sua longevità sia al numero di cellule che a sua volta è proporzionale alle dimensioni dell’organismo. Perciò la probabilità di sviluppare il tumore è correlata alle dimensioni e alla durata della vita dell’organismo. Se così fosse l'elefante ad esempio dovrebbe avere una probabilità maggiore di ammalarsi di cancro rispetto all'uomo. Paradossalmente invece la probabilità che un elefante ha di morire di cancro è di circa il 5% a differenza dell'uomo in cui questa si aggira tra l'11 e il 25%.

Il Paradosso è stato ripreso in mano recentemente da un team di ricercatori dell’Università di Chicago che guidati dal genetista Lynch ha scoperto che uno pseudogene ‘zombie’, chiamato fattore 6 inibitorio della leucemia (LIF6), risvegliato dopo decine di milioni di anni nella storia evolutiva degli elefanti, protegge questi animali dal cancro. La scoperta dei ricercatori è stata pubblicata sulla rivista Cell Reports ed è frutto di una precedente ricerca degli stessi ricercatori statunitensi.

Il ruolo di LIF6 è strettamente connesso a un noto gene anticancro chiamato p53 che gli stessi esseri umani possiedono. La sua funzione, quando attivata da p53, è quella di rispondere al DNA danneggiato producendo una proteina che provoca dei "buchi" nei mitocondri, causando l'apoptosi della cellula.

Lynch e i ricercatori hanno potuto osservare l'azione di LIF6 studiando cellule in coltura di elefanti. Sopprimendo l'azione dello pseudogene nelle cellule degli elefanti hanno scoperto che esse si comportano esattamente come quelle dell'uomo, aprendosi così al rischio di sviluppare il cancro, mentre facendo esprimere LIF6 a cellule di animali che non lo hanno, come i topi, questi non sviluppavano neoplasie.

Il prossimo step dei ricercatori sarà quello di capire le basi genetiche di questa resistenza alle neoplasie nella speranza di trovare il modo di sviluppare farmaci che imitino i comportamenti del LIF6 caratteristici dell'elefante.

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